Onorevoli Colleghi! - L'Italia vanta un triste primato tra i Paesi più industrializzati del mondo per tasso di disoccupazione femminile.
La situazione del mercato del lavoro è penalizzata in Italia dal fatto che la normativa nazionale è stata sempre caratterizzata, fin dall'emanazione della legge in materia di maternità, da una visione eccessivamente protettiva della donna, giudicata come portatrice di una bassa professionalità, in quanto maggiormente impegnata all'interno della famiglia.
La legislazione in materia di lavoro femminile (recentemente coordinata nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151), prevedendo per la donna lavoratrice che va in gravidanza una serie di misure di tutela, disincentiva gli imprenditori ad assumere donne nelle loro aziende, dovendo gli stessi sopportare dei costi conseguenti a quell'evento. Infatti, nel caso di gravidanza e di puerperio della lavoratrice, essa può, come è noto, beneficiare di un periodo da due a cinque mesi di assenza dal lavoro, con l'80 per cento della retribuzione a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ed il 20 per cento a carico del datore di lavoro; di un periodo di assenza facoltativa post parto da tre a quattro mesi, durante il quale matura solo il trattamento di fine rapporto (TFR), (il cui onere per il 30 per cento è a carico dell'INPS, per il 70 per cento a carico del datore di lavoro); di permessi giornalieri per allattamento di due ore fino al compimento di un anno del bambino (a carico dell'INPS) e di permessi non retribuiti per